Il Sessantotto è stato così pieno di voci, come sono le voci nella strada, che urlano, sì, ma intanto è tutta una compagnia di voci, quasi di canti, di rumori. E’ stato un periodo di sonorità festosa.
(Piera Degli Esposti)
Con Nel fuoco della rivolta giunge a compimento il progetto dall’omonimo titolo, curato da Francesca Mazza all’interno della stagione Agorà.
Lo spettacolo celebra il fatidico 1968, di cui quest’anno ricorrono i cinquant’anni, ripercorrendo i fatti avvenuti in tante e diverse città del mondo, unite in quell’anno, forse in maniera unica nella storia, da un sentire comune, da un desiderio profondo di rivolta, da una vitalità oggi scomparsa.
Un disegno corale che prende vita all’interno delle meravigliose stanze di Villa Beatrice, che diventano lo scenario per rivivere eventi storici indimenticabili: Memphis, Parigi, Trento, Praga, Berlino, Roma, New York, Varsavia, Torino, Bologna, Berkeley, Milano, Indianapolis, Nantes, Saigon, Città del Messico.
Le voci degli attori, “compagni di tante avventure” – come li definisce la stessa Francesca Mazza – Maurizio Cardillo, Fabrizio Croci, Angela Malfitano, Marco Manchisi, Gino Paccagnella saranno città e si uniranno a quelle del passato in una sonorità non “festosa”, ma necessaria. Una sonorità supportata dal lavoro sapiente di Alessandro Saviozzi, che con l’orecchio di chi sa ascoltare, ci accompagnerà nel tempo e nello spazio di quel fuoco.
“Mi raggiungevano, ne sentivo l’eco pur essendo nella quarta elementare di una provincia piatta e lombarda.
Come non sentirle? Si sono levate praticamente in ogni angolo del mondo, si assomigliavano, si differenziavano, si univano nella richiesta di cambiamento.
Che fosse la fine della segregazione razziale o la fine della sottomissione all’autorità, l’abbattimento delle barriere e il bisogno di maggior libertà sociale, sessuale, di partecipazione nella scelta dei propri destini… si chiedeva un mondo nuovo.
In quell’anno fatidico ci sono stati innumerevoli accadimenti e innumerevoli cambiamenti che hanno segnato tante vite. Non un mondo nuovo ma, per tanti un mondo diverso.
Nel ricordo sbiadito di quelle immagini in bianco e nero che vedevo nel televisore, nel ricordo delle canzoni che ascoltavo nel mangiadischi della mia sorella maggiore si è risvegliato il desiderio di riaprire quel libro, di guardarlo a distanza, di leggerlo, con i mezzi del teatro, per chi c’era e per chi non c’era. Raccontando storie, senza pretesa di analisi socio-politica, lungo una geografia ovviamente parziale, ovviamente sentimentale”.
Francesca Mazza